Per la produzione di olio spagnola e italiana si stima un calo dal 20 al 30 per cento. Anche i cereali sono a rischio e si attende il grano dall’Ucraina.
Perché la normativa italiana sulla xylella va cambiata
La conversione in legge del decreto sulle emergenze in agricoltura ha formalizzato la distinzione fra il batterio xylella e la fitopatia che colpisce gli olivi. Ma non è sufficiente.
La conversione in legge del decreto sulle emergenze in agricoltura ha prodotto almeno un risultato nella direzione auspicata dai suoi detrattori, e cioè recepire e formalizzare la distinzione – da tempo nota ai tecnici, ma non, evidentemente, ai decisori politici – tra il batterio Xylella fastidiosa e la fitopatia che colpisce gli olivi, denominata “complesso del disseccamento rapido dell’olivo – Co.Di.RO”.
È quindi significativo che, dopo anni di dispute scientifiche, comunque non sufficienti né a confermare né a confutare una volta per tutte l’esistenza del nesso di causalità tra il batterio xylella e la fitopatia Co.Di.RO, l’uno e l’altra siano stati finalmente distinti almeno sul piano semantico: se l’art. 8 del decreto Emergenze era impropriamente rubricato “Norme per il contrasto della Xylella fastidiosa e di altre fitopatie” – lasciando così intendere che la xylella fosse tout court una fitopatia – l’art. 8ter del decreto, introdotto dalla legge di conversione, è correttamente rubricato “Misure per il contenimento della diffusione del batterio Xylella fastidiosa”, riconoscendo così alla xylella la sua natura di batterio.
È altrettanto significativo, tuttavia, che il risultato in questione non vada oltre la facciata, non aprendo la strada ad alcuna distinzione quanto a ruoli, funzioni e responsabilità, rispettivamente, di xylella e Co.Di.RO. In tal senso basti ricordare che tutti i provvedimenti normativi adottati in materia – anche i più recenti, come appunto la legge di conversione del decreto Emergenze – sono volti a contrastare la Xylella fastidiosa e non anche ad accertare le cause del Co.Di.RO: ciò che, evidentemente, ha limitato in modo significativo l’efficacia dei provvedimenti in questione nel contenere la diffusione della fitopatia.
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Perché i provvedimenti non promuovono la ricerca scientifica?
Se il ruolo della xylella nell’ambito del Co.Di.RO è ancora incerto e controverso sul piano scientifico, tanto che, come già segnalato, i provvedimenti di cui si tratta in questa sede hanno finito per smentire se stessi distinguendo due fenomeni che in precedenza sovrapponevano fino a confondere, verrebbe spontaneo chiedersi perché detti provvedimenti abbiano ritenuto di ignorare ciò che il buon senso, ancor prima della logica, esigeva: e cioè promuovere e sostenere l’attività di ricerca scientifica necessaria per accertare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la relazione tra il Co.Di.RO e la presenza, sugli olivi malati, del batterio Xylella fastidiosa.
Per tentare di rispondere a questa domanda pare anzitutto opportuno a chi scrive ricordare al lettore, in modo essenzialmente schematico trattandosi di argomenti già affrontati anche su questa Rivista, che i provvedimenti in questione sono costituiti, in un crescendo di fonti normative, da alcuni decreti adottati dai ministri dell’Agricoltura succedutisi nel corso del 2018 (il cosiddetto “decreto Martina” del 13 febbraio 2018 e il cosiddetto “decreto Centinaio” del 5 ottobre 2018), dal citato decreto sulle emergenze in agricoltura (decreto-legge 29 marzo 2019, n. 27) e, infine, dalla legge n. 21 maggio 2019, n. 44, di conversione del predetto decreto-legge; che questo corpus di provvedimenti fonda la strategia di contrasto alla xylella – e non di contrasto al Co.Di.RO, sconfitto dalla xylella 4 a 0 in campo normativo – sull’espianto degli olivi, sull’impiego di diserbanti e insetticidi, nonché sull’applicazione di sanzioni pecuniarie a quanti si oppongano agli espianti; che, con riferimento agli espianti, questi ultimi riguardano non solo gli olivi malati, ma anche gli olivi sani nel raggio di 100 metri da quelli malati, secondo un ferreo approccio precauzionale che non trova alcun riscontro, mutatis mutandis, in altri campi altrettanto sensibili per l’ambiente e la salute umana (dagli ogm al 5G, solo per fare alcuni esempi); che, ancora con riferimento agli espianti, i finanziamenti destinati a compensare i coltivatori danneggiati sembrano volti, in realtà, a seppellire sotto una pioggia di interventi risarcitori – e dunque in un’ottica ex post – qualsiasi approccio di natura preventiva e precauzionale, con buona pace di ogni esigenza di approfondimento scientifico e di ogni considerazione di natura ambientale; che, con riferimento agli insetticidi, quelli imposti dalla disciplina in esame sono neurotossici e, in quanto tali, vietati anche dalla normativa dell’Unione europea; che, con riferimento alle sanzioni pecuniarie, la legge n. 44/2019 persegue i soggetti che vogliano opporsi agli espianti distinguendo tra proprietari – cui commina una sanzione fino a 30mila euro – e qualsiasi altro soggetto, cui commina, inspiegabilmente, una sanzione raddoppiata, fino a 60mila euro; che, infine, la legge n. 44/2019 autorizza l’attuazione delle misure fitosanitarie da essa previste “in deroga a ogni disposizione vigente”, e che così formulata essa rischia di essere utilizzata per vanificare norme costituzionali e legislative volte a salvaguardare l’ambiente, la salute, il paesaggio e le libertà personali dei cittadini.
Le preoccupazioni di natura economica
La disciplina ricordata ha formato oggetto, negli ultimi mesi, di numerosi e contrastanti commenti, tanto sulla stampa quotidiana quanto sulle riviste specializzate, oltreché di convegni di studio, conferenze, tavole rotonde e finanche manifestazioni di protesta. Tutte iniziative dotate, a quanto pare, di insufficiente impatto sul piano politico, se si tiene conto del fatto che, in sede di conversione del decreto Emergenze, quest’ultimo ha subito alcune modificazioni che lasciano trasparire la preoccupazione del legislatore non tanto nel senso di espungere le disposizioni governative più controverse e contestate (come quelle sugli espianti e sugli insetticidi neurotossici), ovvero di accertare e fronteggiare finalmente le cause della fitopatia Co.Di.RO, quanto nel senso di rispondere alle sollecitazioni e alle richieste di natura economica promananti dal comparto produttivo di riferimento, rafforzando le previsioni contenute nel decreto Emergenze.
Tra le modificazioni così introdotte può ricordarsi, nel quadro della disciplina prima richiamata e che ora forma oggetto della rubrica intitolata “Misure di contrasto degli organismi nocivi da quarantena in applicazione di provvedimenti di emergenza fitosanitaria” (cfr. il nuovo art. 8 del decreto Emergenze), l’attribuzione ai servizi fitosanitari territoriali della competenza necessaria per stabilire modalità e termini della “comunicazione dei provvedimenti di emergenza fitosanitaria, che dispongono le misure fitosanitarie obbligatorie” (quali gli espianti), comunicazione che “può essere effettuata anche mediante forme di pubblicità” ritenute “idonee” dagli stessi servizi fitosanitari. Una volta effettuate le predette comunicazioni, gli ispettori o gli agenti fitosanitari, nonché il “personale di supporto”, ai fini dell’esercizio delle loro attribuzioni, “accedono comunque ai fondi” nei quali sono presenti piante infette, potendo anche richiedere “l’ausilio della forza pubblica”.
#Xylella, Coldiretti: il decreto sulle emergenze in agricoltura è una scatola vuota. Il Presidente Prandini: “appello al Parlamento per riempirla di contenuti”. Domani sabato 9/3 a Lecce mobilitazione Coldiretti contro la gestione inconcludente dell’emergenza Xylella pic.twitter.com/VfVohx01cS
— Coldiretti (@coldiretti) March 8, 2019
Nell’ambito della disciplina volta espressamente al contenimento della xylella (che ora forma oggetto del nuovo art. 8ter del decreto Emergenze, rubricato “Misure per il contenimento della diffusione del batterio Xylella fastidiosa”), va invece ricordata l’attribuzione ai proprietari, conduttori o detentori di terreni della facoltà di eradicare volontariamente, previa comunicazione alla Regione, gli olivi “situati in una zona infetta da Xylella fastidiosa”, in deroga – come già detto per l’attuazione delle misure fitosanitarie obbligatorie di cui all’art. 8 – ad ogni norma vincolistica ed alle procedure di valutazione ambientale. Merita di essere sottolineato che la disposizione di cui all’art. 8ter si sposa con la previsione di uno stanziamento di 150 milioni di euro destinato a finanziare l’impianto di nuove varietà di olivi nel quadro del cosiddetto “Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia” (cfr. il nuovo art. 8quater del decreto Emergenze). Significativa sul piano economico è anche la possibilità, per i frantoi che ne facciano richiesta alle autorità regionali, di stoccare la legna derivante dagli espianti, legna che, se priva di ogni vegetazione, può anche essere “liberamente movimentat(a)” all’esterno della zone delimitate dalla normativa sulla xylella; nonché la possibilità per i soggetti che producono, importano o commercializzano determinati vegetali e prodotti vegetali di essere autorizzati dal servizio fitosanitario regionale “a produrre e commercializzare all’interno della zona infetta le piante specificate” (e cioè quelle notoriamente sensibili alla xylella). A fronte di queste aperture, evidentemente frutto di negoziato con le pertinenti associazioni di categoria, la legge di conversione commina sanzioni pecuniarie non solo e logicamente a carico dei soggetti che commercializzino vegetali infetti da organismi pericolosi e diffusibili (fino a 1.500 euro), ma anche a carico dei soggetti che, ove ne siano a conoscenza, omettano di comunicare al servizio fitosanitario nazionale la presenza di organismi nocivi sull’intero territorio nazionale (fino a 30mila euro), dilatando così la portata della corrispondente disposizione contenuta nel decreto Emergenze (cfr. il nuovo art. 8bis).
Interessi che oltrepassano la dimensione fitosanitaria
Se quanto ricordato finora non bastasse a fornire elementi utili per comprendere, o almeno intuire, le ragioni per cui i provvedimenti in esame non promuovono la ricerca scientifica sul Co.Di.RO, chi scrive ritiene inoltre opportuno ricordare al lettore che l’affaire xylella ha fatto emergere dinamiche e interessi che vanno oltre la dimensione fitosanitaria e che sono correlati tra loro secondo una logica apparentemente ispirata, e senz’altro funzionale, alla globalizzazione dei mercati e alla liberalizzazione degli scambi commerciali. Solo per fare alcuni esempi: la sostituzione di varietà vegetali tradizionali con altre che richiedono metodi agro-industriali di lavorazione intensiva e a forte impatto ambientale; la riduzione della biodiversità derivante dall’eliminazione di cultivar endemiche; la concorrenza dei prodotti alimentari derivanti dalle varietà intensive con quelli tradizionali del “made in Italy”, che saranno costretti, per sopravvivere, ad un livellamento verso il basso della qualità e dei prezzi; la scomparsa di consolidati modelli di autoproduzione e di autoconsumo, tipici di Paesi con forti identità contadine e rurali (come è ancora l’Italia); la sopravvivenza di stili di vita la cui recente rivalutazione ha contribuito a rilanciare l’economia di Regioni da anni al centro di un vero e proprio boom turistico (come la Puglia); e, non ultimo, la tutela di paesaggi naturali, antropici e culturali unici e inconfondibili, patrimonio comune delle generazioni presenti e future.
Lo scenario apocalittico: niente verde, il Salento come un deserto https://t.co/hjMvIY0v0e
— la Repubblica (@repubblica) August 8, 2019
Addirittura i provvedimenti ostacolano la ricerca scientifica
Se anche le considerazioni da ultimo svolte non bastassero a chiarire perché i provvedimenti poc’anzi richiamati non sostengono la ricerca sul Co.Di.RO, è giunto il momento di svelare al lettore (che non lo sapesse già) che questi provvedimenti non solo non sostengono la ricerca scientifica, ma addirittura la ostacolano: l’art. 6 del decreto Martina, confermato dal decreto Centinaio, dal decreto Emergenze e dalla legge n. 44/2019, infatti, vieta “a chiunque di detenere o movimentare materiale vivo di Xylella fastidiosa o ogni materiale infetto da essa” e impone alle istituzioni scientifiche che volessero studiare il batterio medesimo di darne preventiva comunicazione al servizio fitosanitario della Regione Puglia, cui gli stessi soggetti sono tenuti a comunicare tempestivamente i risultati scientifici conseguiti “prima di darne diffusione pubblica” (sic!). Questa disciplina, unitamente alle sanzioni pecuniarie comminate a quanti volessero opporsi agli espianti, sia pure allo scopo di promuovere analisi più approfondite e fugare eventuali incertezze, ha finito per costituire un ostacolo concreto ad un approccio scientifico pluralista, all’ombra del quale sembra essersi sviluppato il monopolio di enti e laboratori causa, a sua volta, di inevitabili inefficienze e distorsioni: è quanto è accaduto, ad esempio, con l’olivo in agro di Monopoli (Bari), in un primo momento dichiarato infetto, e condannato all’espianto insieme ai suoi vicini sani, e poi salvato in extremis sulla base dei risultati di nuove analisi promosse dallo stesso servizio fitosanitario regionale.
Le conseguenze
Quali siano le ragioni di tale pervicace mancanza di fiducia nelle possibilità della ricerca scientifica è dato solo immaginare. Ma se ne conoscono per certe, invece, alcune conseguenze, una delle quali, forse la più significativa nell’ottica fin qui evidenziata, è costituita dalla fatalistica rassegnazione con cui media, politica e opinione pubblica italiani hanno accolto e rilanciato gli annunci secondo cui la xylella (ma in realtà dovrebbe parlarsi di Co.Di.RO) non troverebbe alcuna cura; inevitabile e lapalissiana conseguenza dell’assenza di ricerca scientifica di base, ma che taluni si ostinano a salutare come la conferma della ineluttabilità degli espianti, dei diserbanti, degli insetticidi e, non ultimo, delle sanzioni. Un po’ come se si fosse vietato a Pasteur di fare ricerca, salvo poi accettare come inevitabile il tetano e invocare, ad abundantiam, l’eliminazione degli ammalati.
Quella della xylella rischia di essere solo la prima di una serie di emergenze fitosanitarie
Va da ultimo rilevato che la cosiddetta “emergenza xylella” potrebbe essere solo la prima di una serie di emergenze fitosanitarie destinate a interessare prodotti agricoli (dalla frutta agli ortaggi) che costituiscono il fondamento dell’autonomia alimentare di buona parte della popolazione residente in diverse regioni d’Italia, emergenze che, de lege lata, dovranno essere necessariamente affrontate in base alle “Misure di contrasto degli organismi nocivi da quarantena in applicazione di provvedimenti di emergenza fitosanitaria” di cui al nuovo art. 8 del decreto Emergenze, come convertito dalla legge n. 44/2019. A ciò si aggiunga che la stessa xylella è stata affrontata come un fenomeno circoscritto alla Puglia, mentre in realtà il batterio dimora anche in altri Paesi europei e, secondo le previsioni più o meno allarmistiche diffuse dall’Efsa il 15 maggio 2019, addirittura “tutta l’Unione è a rischio”. Questo rischio riguarda ovviamente più da vicino regioni italiane quali la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, l’Abruzzo, le Marche, il Lazio, l’Umbria, la Toscana, la Liguria, la Lombardia, il Veneto, il Trentino ed è quindi evidente che anche i cittadini e i produttori di olio di queste regioni hanno motivo per interessarsi alla vicenda xylella e inevitabilmente, de iuro condito, alle “Misure per il contenimento della diffusione del batterio Xylella fastidiosa” di cui al nuovo art. 8ter del decreto Emergenze, come convertito dalla legge n. 44/2019.
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L’appello ai cittadini
Il caso Co.Di.RO non è il primo – e probabilmente non sarà l’ultimo – in cui si è assistito alla strumentalizzazione semantica, mediatica e politica di evidenze scientifiche controverse, che sul piano normativo si prestano ad avallare soluzioni funzionali agli interessi di una parte della società. Tuttavia, esso può costituire anche l’occasione per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su alcune questioni fondamentali, come, ad esempio, la salvaguardia del primato dell’essere umano nei riguardi degli interessi della scienza e della società, primato faticosamente codificato dagli sviluppi recenti del diritto internazionale e costantemente insidiato dalla crescente competizione tra accelerazione della tecnologia, liberalizzazione degli scambi commerciali e globalizzazione dei mercati, da una parte, e tutela dell’ambiente, della salute e delle libertà individuali, dall’altra.
Su questa competizione, e sul modello di “progresso” ad essa sotteso, i cittadini potrebbero essere opportunamente chiamati a pronunciarsi. Un gruppo di docenti universitari, riuniti per l’occasione nell’ambito dell’European centre for Science, Ethics and Law (Ecsel), si sta muovendo in questa direzione e, dopo avere costituito un osservatorio sulla xylella, avere organizzato una serie di convegni scientifici e avere lanciato un appello al presidente della Repubblica affinché esprimesse autorevolmente alle Camere l’esigenza di riesaminare il testo della legge n. 44/2019, ha costituito un comitato promotore del referendum abrogativo di talune disposizioni contenute nella legge medesima, anche al fine di riattivare il dibattito scientifico, politico e mediatico su una soluzione normativa – quella fondata su espianti, insetticidi e sanzioni – che, oltre ad essere non risolutiva, perché non accerta le cause del Co.Di.RO, appare peggiore del problema che pretende di risolvere. I tempi tecnici non consentono di organizzare la raccolta delle firme prima dell’inizio del 2020, ma l’estate e l’autunno 2019 serviranno a preparare il terreno anche mediante opportune azioni di informazione e di formazione, preliminari a un mutamento di impostazione culturale in questa materia.
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