In un documento unitario, 48 associazioni salentine richiamano l’attenzione sulle criticità degli interventi finora realizzati per arginare il problema della xylella. E offrono soluzioni alternative.
A distanza di oltre dieci anni dalla comparsa del batterio xylella e della fitopatia a esso collegata (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo o CoDiRO), 48 associazioni operanti sul territorio del Salento hanno adottato un documento unitario volto a richiamare l’attenzione delle istituzioni e degli enti di ricerca sulle criticità delle strategie e degli interventi finora realizzati per arginare la crisi ambientale, paesaggistica e agronomica verificatasi nel decennio considerato.
L’analisi proposta dal documento delle associazioni salentine prende in considerazione tanto la dinamica epidemiologica rilevante, quanto la cornice politico-gestionale in cui sono stati posti in essere gli interventi richiamati, proponendo un approccio nuovo e diverso, che qualcuno non esiterebbe a definire naïf, all’ormai nota problematica.
Dal punto di vista scientifico, il documento mette subito in evidenza, anche sulla base di dati forniti dal Crea e dal Cnr di Bari nel corso di audizioni parlamentari svoltesi nel 2023, un aspetto destinato a smentire quanti negli ultimi anni si sono pervicacemente ostinati a condannare a morte, anzitutto sul piano culturale e comunicativo, gli olivi “positivi” al batterio xylella: e cioè che molte piante continuano a vegetare, e a produrre, anche se “infette”. A ciò deve aggiungersi che molte delle piante in questione, pur disseccate nella parte aerea, presentano un apparato radicale vivo che permette loro di rivegetare, ciò che è fondamentale dal punto di vista ecosistemico perché contrasta gli effetti negativi dell’assenza di sostanza organica nel suolo, del ciclo meteo-idrogeologico, dell’erosione e, in ultima analisi, della desertificazione.
Il documento, inoltre, non manca di mettere in discussione il ruolo del batterio xylella nell’ambito del CoDiRO, tenuto anche conto del fatto che fino al 2013, anno della “scoperta” del batterio, i disseccamenti degli olivi erano imputati prevalentemente a funghi patogeni e che recenti ricerche hanno ribadito la estrema contagiosità aerea delle spore fungine: ma poiché, come noto, istituzioni e una parte del mondo scientifico riconducono esclusivamente alla xylella la causa del CoDiRO, le associazioni salentine si chiedono giustamente quali siano le cause del disseccamento delle piante che risultano negative al batterio, come ad esempio gli olivi disseccati del territorio di Gallipoli, di cui solo il due per cento risultava, nel 2013, “positivo”.
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Del resto, che l’affaire xylella sia stato gestito secondo strategie comunicative analoghe a quelle che le vicende degli ultimi anni hanno posto sotto gli occhi di tutti ce lo dice chiaramente, se non altro, l’aritmetica. Gli olivi dichiarati “morti” da certi media e da certa politica ammontano a circa 22 milioni: forse troppi, se si considera che questa cifra equivale al totale degli olivi presenti nelle tre province salentine (Lecce, Brindisi, Taranto) e che, di questi 22 milioni, almeno tre milioni sono cultivar leccino, e dunque resistenti alla fitopatia, mentre le piante ancora vive e vegete, e produttive, ammontano al dieci per cento nel leccese, al sessanta per cento nel brindisino e addirittura al 75 per cento nel tarantino. Basta fare una gita nel Salento per rendersene conto.
Ma c’è di più: se la normativa richiede due esami di laboratorio per ogni olivo da monitorare, non risulta da alcuna fonte che siano stati eseguiti 44 milioni di test; anzi, come sanno bene gli abitanti delle province colpite, molti espianti sono stati decisi sulla base di semplici esami visivi che, fatta eccezione per l’eventuale misurazione delle diottrie degli agronomi incaricati, poco hanno di scientifico. In ogni caso, nell’arco di dieci anni, sono state effettuate appena 1.200.000 analisi, da cui risultano, tralasciando i falsi positivi, 14mila alberi “infetti”, con un tasso medio dell’1,18 per cento (che va dal 4,5 per cento del 2016 allo 0,15 per cento del 2023). Un dato per tutti si presta a molte riflessioni e a qualche speculazione: nel 2018, su 450 ulivi espiantati nella zona interessata dalla Tap, solo tre erano risultati infetti agli esami di laboratorio.
I conti non tornano e le perplessità sulle cifre legittimano riserve sull’attendibilità di altri e più complessi elementi della gestione della fitopatia. In quest’ottica alcune considerazioni appaiono significative: la cultivar coratina risultava, in ambiente chiuso, quella più resistente al batterio xylella, mentre in campo aperto presenta indubbie tracce di disseccamento, non assenti peraltro nelle cultivar favolosa: semplice errore oppure sottovalutazione più o meno strategica di altre e più complesse cause patogene?
E ancora: la reale dinamica della fitopatia stride rispetto alla narrazione dominante, tanto dal punto di vista della sua velocità (ben al di sotto dei venti chilometri all’anno denunciati dai media mainstream, considerato che per arrivare da Gallipoli ai confini del barese ha impiegato più di quindici anni) quanto dal punto di vista della sua diffusione. Un solo focolaio iniziale oppure tanti e sparsi sul territorio se già nel 2014 esistevano olivi sintomatici a Veglie, Trepuzzi e Oria, mentre vaste aree del gallipolino erano ancora indenni?
Richiamati alcuni fatti significativi che contraddistinsero le epidemie di disseccamento degli olivi salentini già nel diciottesimo secolo e all’inizio del ventesimo (uno per tutti: l’Osservatorio istituito dal governo Giolitti venne chiuso nel 1910 perché il disseccamento si era fermato così imprevedibilmente come era cominciato), e ricordata la possibilità di una endemizzazione, forse plurisecolare, della xylella nel Salento (che potrebbe essere confermata da eventuali carotaggi da effettuarsi negli olivi più vecchi), il documento propone alcune strategie di contrasto al disseccamento, che appaiono del tutto allineate con ciò che studiosi e operatori scevri da conflitti di interesse, e dunque altrettanto naïf, affermano da tempo: e cioè che occorre individuare e descrivere la complessità eziologica delle cause del disseccamento, monitorare e contrastare i fattori batterici e fungini, considerare le variabili agronomiche, lo stato del suolo, le condizioni di biodiversità, la capacità delle piante di adattarsi agli agenti patogeni, incoraggiare protocolli validati da pubblicazioni scientifiche e finanche pratiche empiriche che consentono il recupero di ceppaie vitali e di alberi in rivegetazione, incentivare lo studio dei bioritmi, rivalutare gestioni agricole virtuose. E non limitarsi a recitare il “de profundis” degli olivi che, negando l’evidenza dell’attuale resilienza delle piante e minimizzando le strategie di contrasto-convivenza finora utilizzate, continua a legittimare espianti di massa.
Espianti, sia detto per inciso, che sono ampiamente incoraggiati mediante misure finanziarie che finiscono di fatto per favorire la sostituzione di oliveti plurisecolari e monumentali conimpianti superintensivi destinati ad azzerare il patrimonio ambientale e paesaggistico, ad accelerare la diffusione di eventuali, future fitopatie e a risultare, per le loro caratteristiche agronomiche, sempre più insostenibili e anti-economici in una area tra le prime, in Italia, per l’impiego di prodotti chimici in agricoltura e tra le ultime per la disponibilità di acqua e di biodiversità.
— BIOVEXO Biopesticides to fight Xylella fastidiosa (@BiovexoProject) April 25, 2024
In fondo, le 48 associazioni firmatarie del documento chiedono solo di utilizzare un po’ di buon senso, abbandonando protocolli contestati e controversi, anche perché forieri di effetti irreversibili, e promuovendo una gestione della fitopatia finalizzata alla rigenerazione agro-ecologica del territorio del Salento mediante un approccio lungimirante e sistemico che tenga conto delle sue specificità identitarie e culturali.
Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Trovate infette da Xylella 41 piante in Toscana, nessuna di ulivo: verranno sradicate. Si tratta di un ceppo diverso da quello pugliese che dal 2012 ha già colpito 770mila alberi.
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Il livello di inquinamento supera di 60 volte il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il governo ha chiuse le scuole e ha invitato gli anziani a stare a casa.