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L’esercito israeliano accusato della morte del giornalista palestinese Yasser Murtaja, che seguiva le manifestazioni nella striscia di Gaza.
Yaser Murtaja era un giornalista palestinese, dell’agenzia di stampa Ain Media, la cui sede è nella striscia di Gaza. Aveva una trentina d’anni. Venerdì 6 aprile seguiva le manifestazioni di protesta nei pressi della frontiera con Israele, teatro di nuovi scontri con l’esercito della nazione ebraica che difende il confine.
Il reporter sapeva che la situazione sarebbe stata particolarmente tesa. Già il 30 marzo, primo giorno della “Marcia del ritorno” – movimento di protesta che culminerà il 15 maggio, giorno in cui ricorre la Nakba, la “catastrofe”, ovvero l’espulsione forzata di migliaia di palestinesi al momento della creazione dello stato di Israele – i morti erano stati 17 e i feriti circa 1.400. L’esercito ha infatti aperto il fuoco sui manifestanti, affermando di essere stato costretto a difendersi.
Yaser Murtaja, a 30-year-old Palestinian photojournalist from Gaza, has reportedly succumbed to his wounds after being shot in the abdomen by Israeli forces. https://t.co/hioxfzRQiB
— Twitter Moments (@TwitterMoments) April 7, 2018
Anche nei giorni successivi, altro sangue è stato versato nel corso dei cortei. Per questo, Yaser si era munito di una giacca sulla quale campeggiava la scritta “Press”, circostanza confermata da un filmato che lo ritrae mentre viene trasportato in un centro sanitario dopo essere stato ferito. Alla manifestazione seguita dal giornalista palestinese avevano partecipato migliaia di persone. Il bilancio fornito dal ministero della Salute di Hamas, alla fine della giornata, ha parlato di nove morti e circa 500 feriti: un gruppo di persone aveva incendiato dei pneumatici e lanciato pietre contro i soldati israeliani che hanno risposto lanciando lacrimogeni e sparando ancora una volta ad altezza uomo.
Reporter senza frontiere ha condannato duramente il comportamento dell’esercito ebraico: “Il giornalista è stato colpito in modo deliberato dai militari. Indossava un gilet che lo rendeva riconoscibile in quando operatore dell’informazione: è stato ucciso in modo intenzionale. Si tratta di un crimine contro la libertà di stampa”. L’associazione ha quindi lanciato un appello al governo di Tel Aviv “affinché rispetti la risoluzione 2222 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata nel 2015, in materia di protezione dei giornalisti e ha chiesto di avviare un’inchiesta indipendente”.
Are Israeli forces targeting Palestinian journalists? Human rights organizations say the killing of Yaser Murtaja was “deliberate.” pic.twitter.com/pzPFx2vI3s — AJ+ (@ajplus) April 8, 2018
Difficile tuttavia immaginare che l’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu possa accettare, tenuto conto del fatto che dopo i primi morti del 30 marzo la richiesta di chiarire l’accaduto era arrivata addirittura dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Eppure, la risposta del leader israeliano non aveva lasciato spazio a margini di trattativa: “Mi congratulo con i nostri soldati”, che compongono “l’esercito più etico del mondo”.
Il fratello di Yaser, Motazem, anch’egli giornalista, ha raccontato che era al suo fianco quando è stato colpito: “L’obiettivo eravamo chiaramente noi reporter”. Secondo il sindacato dei giornalisti palestinesi, anche altri cinque colleghi sono stati feriti. Una versione categoricamente negata dall’esercito israeliano.
Yaser Murtaja è morto sabato. Centinaia di amici e colleghi hanno accompagnato il feretro del professionista dall’ospedale alla propria abitazione. Il corpo è stato coperto da una bandiera palestinese e dalla giacca con la scritta “Press”. Ai funerali ha partecipato anche Ismail Haniyeh, numero uno di Hamas, che ha difeso il lavoro dei giornalisti “che cercano di mostrare l’immagine di un popolo oppresso”.
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