La guerra in Yemen sta vivendo una nuova escalation. Dopo sette anni di conflitto sono almeno 377mila i morti, mentre 20 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria.
Un attentato degli huthi ad Abu Dhabi ha portato a nuovi bombardamenti sullo Yemen della coalizione internazionale a guida saudita.
Il conflitto va avanti da sette anni. Su 377mila morti totali, il 60 per cento sono vittime da effetti collaterali come fame e malattie.
Quella dello Yemen viene definita la “peggior catastrofe umanitaria del mondo”: 20 milioni di persone hanno bisogno di assistenza urgente.
La fine della guerra in Yemen, che va avanti da sette anni, è sempre più lontana. Il 17 gennaio i ribelli Huthi (o Houthi) hanno compiuto un attentato con diversi droni ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi. Questi ultimi fanno parte della coalizione internazionale a guida saudita che in Yemen sostiene le forze governative, mentre gli sciiti Huthi, che controllano circa il 20 per cento del territorio tra cui la capitale Sana’a, sono sostenuti dall’Iran e dai libanesi di Hezbollah.
Dal 2015 è esploso un violento conflitto tra le parti e i rispettivi alleati esteri, che a oggi ha causato almeno 377mila morti e acuito una tragedia umanitaria definita come la più grave al mondo. Nelle scorse ore la coalizione saudita ha effettuato pesanti bombardamenti contro gli avamposti huthi nella capitale Sana’a, causando decine di morti. Un’escalation che rende una soluzione pacifica del conflitto un miraggio, mentre la popolazione locale sprofonda sempre più nella miseria.
L’attentato ad Abu Dhabi e la risposta saudita
Il 17 gennaio nella capitale degli Emirati Arabi, Abu Dhabi, ci sono state diverse esplosioni. Una nei pressi dell’aeroporto, altre in prossimità di alcune cisterne di petrolio nei sobborghi meridionali. Il bilancio è stato di tre morti e sei feriti e a rivendicare gli attacchi sono stati gli houthi, un gruppo armato prevalentemente sciita dello Yemen che qui da anni è impegnato in una guerra per il controllo del paese contro le forze governative, appoggiate proprio dagli Emirati Arabi oltre che dall’Arabia Saudita.
🔵🇦🇪ÉMIRATS ARABES UNIS – Une zone industrielle d’Abu Dhabi a été la cible, ce lundi matin, d’une attaque de drones. Trois camions-citernes ont explosé, sans faire de victimes. Les rebelles Houthis, basés au Yémen, revendiquent l’incursion aérienne (i24). pic.twitter.com/DdzVKiVohv
“Questa operazione, soprannominata Uragano dello Yemen, è stata condotta per mezzo di 5 missili balistici e alati e un gran numero di droni”, ha sottolineato il portavoce degli huthi, Yahya Sarea, rivendicando l’attentato ad Abu Dhabi. Non è la prima volta che i ribelli yemeniti attaccano lo stato di confine: nel 2017 gli huthi hanno rivendicato il lancio di un missile contro una centrale nucleare in costruzione, negli anni successivi si è parlato di altri attacchi per mezzo di droni di cui però Abu Dhabi non ha mai dato conferma. Attentati fuori dallo Yemen sono stati condotti dagli huthi anche sul territorio dell’Arabia Saudita, come quando nel 2019 sono stati colpiti e pesantemente danneggiati alcuni siti petroliferi.
A glimpse of the destruction in Sana’a following the Saudi & UAE airstrikes over the past 2 nights via @alosbouhttps://t.co/axEsGoAQL2
E proprio l’Arabia Saudita, alla guida della coalizione internazionale contro gli huthi, nelle scorse ore ha vendicato l’attentato emiratino compiendo una serie di pesanti bombardamenti sulle postazioni e gli accampamenti delle milizie di ribelli a Sana’a, la capitale dello Yemen. Ci sono stati 14 morti, mentre nel governatorato di Ma’rib, a Est della capitale, la coalizione ha riferito di aver effettuato 17 operazioni aeree che hanno causato la morte di oltre 80 combattenti ribelli.
Sette anni di guerra in Yemen
Il conflitto internazionale in Yemen va avanti da ormai sette anni, ma ha origini ancora più lontane. La primavera araba esplosa nel dicembre 2010 in Tunisia e poi allargatasi alla gran parte dei paesi maghrebini e mediorientali toccò l’anno successivo anche lo Yemen, dove profonde proteste portarono alla destituzione del presidente Ali Abdullah Saleh. Fu sostituito dal suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi, malvisto dal movimento ribelle musulmano sciita Huthi, fedele al suo predecessore.
La transizione di potere non è mai stata pacifica e le tensioni si sono tradotte in una guerra vera e propria dal 2014. Quell’anno gli huthi hanno preso il controllo della provincia settentrionale di Saada e poi hanno iniziato la loro avanzata verso sud, fino a conquistare la capitale Sana’a. Qui hanno preso il controllo del palazzo presidenziale, annunciato un nuovo governo di unità nazionale e costretto alla fuga all’estero il presidente Hadi, che ha continuato a essere riconosciuto reggente del potere dalla comunità internazionale.
Mentre gli huthi puntavano a proseguire la loro espansione nel paese, l’Arabia Saudita assieme ad altri stati dell’area (Emirati Arabi, Barhain, Sudan, Kuwait, Egitto, Qatar) e con il sostegno degli Stati Uniti ha deciso nel 2015 di intervenire in Yemen, compiendo bombardamenti contestati dall’Onu contro le milizie ribelli sospettate di essere appoggiate dall’Iran.
Il paese è diventato insomma il palcoscenico di una guerra tra potenze rivali mondiali che non poteva scoppiare in modo più esplicito altrove. Un conflitto in cui anche l’Italia ha avuto tristemente la sua parte: armi made in Italy sarebbero state usate dalla coalizione a guida saudita in più occasioni, causando la morte di diversi civili.
Oggi il territorio yemenita è sotto il controllo di tre diverse realtà. Da una parte c’è il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e che fa capo al presidente Hadi, rilocato nella città di Aden. Quest’ultimo ha in mano il 60 per cento del paese per circa 12 milioni di abitanti. Un altro pezzo di nazione, tra cui la capitale Sana’a, è invece in mano agli huthi: si tratta di circa un quarto del territorio, per un totale di 15 milioni di persone.
Le aree restanti, tre milioni di persone nella parte meridionale del paese, sono invece controllate dal Consiglio di Transizione del Sud. Quest’ultimo, vicino agli Emirati Arabi, nel 2019 aveva espulso il governo internazionalmente riconosciuto da Aden, portando a una crisi pesante nella coalizione anti-huthi. Un caos di cui hanno approfittato per guadagnare terreno a sud altri due attori, i militanti di al-Qaeda (Aqap) e l’affiliata locale dello Stato islamico (Stc). Dopo qualche mese si è arrivati però all’accordo di Riad, che ha ricomposto le forze sostenute dalla comunità internazionale.
La peggior catastrofe umanitaria del mondo
Negli ultimi tempi il conflitto ha riguardato soprattutto l’area strategica di Ma’rib, ultima vera roccaforte settentrionale delle forze filogovernative. Nei momenti di massima difficoltà l’Arabia Saudita ha avanzato proposte di tregua, in alcuni casi messe anche in atto unilateralmente, ma la richiesta di un accordo di pace corale da parte degli huthi che di fatto estromettesse il governo di Hadi dai negoziati si è sempre concluso con un nulla di fatto.
Intanto i bombardamenti sauditi e i conflitti sul terreno, perlopiù dominati dai ribelli sciiti, sono andati avanti. E pian piano le forze filogovernative hanno riconquistato terreno, causando negli ultimi mesi del 2021 la morte di 27mila combattenti huthi. In generale secondo le Nazioni Unite sette anni di conflitto in Yemen hanno portato alla morte di 377.000 persone. Il Programma della Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) sottolinea che quelle dirette derivanti dalle ostilità rappresentano il 40 per cento del totale, mentre per il restante 60 cento si tratta di vittime provocate da effetti collaterali, come fame e malattie. A causa del conflitto e di una situazione endemicamente molto precaria il paese è infatti sprofondato in quella che viene definita “la peggior catastrofe umanitaria del mondo”.
Oltre 20 milioni di persone, il 70 per cento della popolazione totale, necessita di assistenza umanitaria. Circa 2,3 milioni di bambini con età inferiore a cinque anni si trovano in stato di malnutrizione acuta, un numero che esteso al resto della popolazione tocca i 5 milioni. Se le cose non cambieranno, entro il 2030 si arriverà a quasi 10 milioni. Anche la situazione femminile è critica: più di 6 milioni di donne necessitano di un accesso urgente ai servizi di protezione e assistenza sanitaria e ogni due ore una donna muore per complicanze durante il parto. Il conflitto è costato finora allo Yemen 126 miliardi di dollari in termini di potenziale crescita economica, facendolo sprofondare tra i paesi più poveri del mondo: circa il 75 per cento della popolazione vive in stato di povertà.
L’embargo messo in atto dall’Arabia Saudita nel paese, che riguarda soprattutto i porti, peggiora ulteriormente una situazione già compromessa, impedendo l’arrivo degli aiuti umanitari. Di recente l’Unicef, l’Undp e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)hanno chiesto a Riad di toglierlo perché da questo dipende la vita di milioni di persone. Comunque vada, gli attentati oltreconfine di matrice huthi, i bombardamenti aerei sul paese della coalizione internazionale e i combattimenti sul terreno tra le fazioni ripresi con vigore nelle ultime settimane, rendono la fine dell’incubo yemenita un miraggio.
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