Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia, ha donato la sua azienda a un’organizzazione no profit. Una decisione da analizzare in tutte le sue sfaccettature.
Yvon Chouinard, fondatore del brand di abbigliamento Patagonia, ha donato la sua azienda a un’organizzazione no profit.
D’ora in poi, dunque, tutti gli extra profitti verranno reinvestiti nella tutela del pianeta.
Bloomberg fa notare che l’operazione è anche vantaggiosa per lo stesso Chouinard, perché gli evita di pagare tasse pari a 700 milioni di euro.
Per giorni non si è parlato d’altro. Yvon Chouinard, fondatore del brand di abbigliamento Patagonia, a 83 anni ha preso una decisione cruciale per il futuro della sua azienda. Invece di lasciarla in eredità alla famiglia o di metterla in vendita, la regalerà a un’organizzazione no profit che reinvestirà i guadagni nella lotta contro i cambiamenti climatici. Una decisione senza dubbio visionaria che pertanto merita di essere analizzata in tutte le sue sfaccettature, comprese quello meno immediate.
Quale sarà il futuro di Patagonia
“Oggi il nostro unico azionista è il pianeta”. Si intitola così il comunicato che delinea ufficialmente il destino di Patagonia. Le attività dell’azienda rimangono esattamente le stesse, ma la proprietà cambia: il 98 per cento delle quote passa a un’organizzazione no profit, Holdfast collective, che riceverà quindi sotto forma di dividendi gli extra profitti e li reinvestirà per “combattere la crisi ambientale, proteggere la natura e la biodiversità e supportare le comunità”. Il restante 2 per cento (incluse tutte le azioni con diritto di voto) va invece a una neo-costituita fondazione, Patagonia Purpose Trust, che garantisce la continuità nelle linee strategiche.
Hey, friends, we just gave our company to planet Earth. OK, it’s more nuanced than that, but we’re closed today to celebrate this new plan to save our one and only home. We’ll be back online tomorrow.https://t.co/fvRFDgOzVZ
Una scelta inconsueta che si pone comunque in piena continuità con una vocazione sostenibile che Patagonia dimostra da decenni, destinando ogni anno in beneficenza l’1 per cento del fatturato e dimostrando ottime performance ambientali e sociali, attestate dalla certificazione B-Corp. “Non sapevo cosa fare con l’azienda perché non ho mai voluto un’azienda”, ha dichiarato in esclusiva al quotidiano New York Times Yvon Chouinard, celebre come scalatore e alpinista negli anni Sessanta. “Non volevo essere un uomo d’affari. Ora potrei morire domani sapendo che l’azienda continuerà a fare la cosa giusta per i prossimi cinquant’anni, senza bisogno che ci sia io”.
Patagonia’s founder, Yvon Chouinard, gave the $3 billion company to trusts and nonprofits to fight climate change.
“Hopefully this will influence a new form of capitalism that doesn’t end up with a few rich people and a bunch of poor people,” he said. https://t.co/CARrfzVoTM
Yvon Chouinard ha anche evitato 700 milioni di dollari di tasse
Fin qui la storia che hanno descritto tutti con parole di ammirazione. La testata Bloomberg ha preferito scavare un po’ più a fondo su un altro tema, quello fiscale. L’ordinamento statunitense contempla 32 diversi tipi di organizzazioni no profit: il più comune in assoluto si chiama 501(c)3 e può richiedere l’esenzione dalle tasse federali e statali. Qualsiasi donazione a una 501(c)3, inoltre, dà diritto a una detrazione.
Holdfast collective invece è una 501(c)4. Questa formula offre delle opportunità in più che risultano molto in linea con gli scopi di Yvon Chouinard, come quella di possedere società private e di effettuare donazioni illimitate ai partiti politici. Dall’altro lato, però, le donazioni a suo favore vengono tassate. In aggiunta, il fondatore di Patagonia dovrà pagare le tasse sulle azioni che ha trasferito al trust, per un ammontare di 17,5 milioni di euro.
Si tratta tuttavia di una cifra irrisoria rispetto alla somma che avrebbe dovuto sborsare se avesse venduto la società. Considerato che Patagonia è valutata in 3 miliardi di euro, il conto avrebbe superato i 700 milioni. A questo si sarebbero aggiunte le tasse di successione: il prelievo sulle grandi fortune arriva al 40 per cento.
Quando le aziende vengono donate a no profit conservatrici
È vero che, così facendo, questo denaro viene investito direttamente nella causa ambientale. Ma è vero anche che un privato, disponendo in autonomia di capitali che altrimenti sarebbero finiti nelle casse dello stato, si sostituisce di fatto alle istituzioni democratiche. Finché “l’unico azionista è il pianeta”, viene spontaneo pensare che il bilancio finale sia comunque positivo. Ma cosa succederebbe se, un domani, qualcun altro seguisse la stessa scia per foraggiare una causa di tutt’altro tenore?
Un’ipotesi che a dire il vero si è già verificata, spiega Bloomberg. Nel 2020 il potente imprenditore di Chicago Barre Seid, dopo decenni di donazioni regolari a vari gruppi conservatori, ha ceduto il 100 per cento delle quote della sua azienda a un’altra no profit inquadrata come 501(c)4, chiamata Marble freedom trust. L’azienda in questione è Tripp Lite e produce cavi, alimentatori e altri dispositivi elettronici. Subito dopo Tripp Lite è stata venduta a una holding irlandese per 1,65 miliardi di euro, una somma che è stata incassata per intero dalla no profit, evitando a Seid di dover pagare tasse sulle plusvalenze.
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