Animali strappati alla terra alla quale appartengono. Elefanti sedati e sollevati a testa in giù, attaccati a piccole gru. Antilopi ingabbiate e caricate su camion che le porteranno lontani dalla loro casa. Siamo in Zimbabwe, ma non siamo di fronte all’ennesima scena di predazione ad opera dei bracconieri. C’è la crisi climatica alla base di quest’ennesima violenza ai danni della fauna locale, minacciata dalla siccità che prosciuga i fiumi e inaridisce il territorio.
Lo Zimbabwe ha trasferito oltre 2.500 animali selvatici dalla Save Valley Conservancy, situata nel sud del Paese, a tre riserve del nord, nei parchi di Sapi, Matusadonha e Chizarira. In queste aree è in corso un progetto di ripopolamento faunistico dopo anni di decimazioni causate dal bracconaggio e facilitate dalla vicinanza del lago Kariba e del fiume Zambezi, la cui biosfera è ancora in grado di resistere alla siccità estrema che ha messo in ginocchio i parchi del sud. L’operazione è stata denominata “Rewild Zambezi” e prevede lo spostamento di diverse specie minacciate dall’assenza di precipitazioni degli ultimi mesi, che ha inardito il terreno e prosciugato il corso dei fiumi a tal punto da rendere la riserva quasi inabitabile. A fare le spese degli effetti crisi climatica saranno circa 400 elefanti, 2.000 impala, 70 giraffe, 50 bufali, 50 gnu, 50 zebre, 50 antilopi, 10 leoni e un branco di 10 cani selvatici.
È stato il parco a produrre la documentazione necessaria al trasferimento degli animali. In un’intervista ad Associated Press Tinashe Farawo, portavoce dell’autorità nazionale per la gestione dei parchi, ha dichiarato che l’operazione si è resa necessaria per evitare un vero e proprio disastro, dal momento che ormai la crisi climatica ha sostituito il bracconaggio tra le piaghe che funestano la fauna africana: “Lo stiamo facendo per alleviare la pressione. Per anni abbiamo combattuto il bracconaggio e, proprio quando stiamo vincendo quella guerra, il cambiamento climatico è emerso come la più grande minaccia per la nostra fauna selvatica”, ha detto Farawo.
Il precedente storico: l’ Operazione Noè
Le condizioni che consentiranno agli animali deportati di sopravvivere a nord dipendono in larga parte da un episodio analogo risalente agli anni Sessanta. Il lago Kariba, infatti, è un’opera artificiale nata a seguito della costruzione dell’omonima diga, che fu voluta in epoca coloniale dall’impero britannico per sfruttare il grande potenziale energetico dello Zambezi. In quell’occasione il governo ordinò il primo grande trasferimento faunistico dello Zimbabwe, l’Operazione Noè, durante la quale furono spostati più di 5.000 animali. In quell’occasione la fauna venne salvata da un’altra modifica dell’habitat ad opera dell’uomo, che causò un brusco innalzamento del livello delle acque.
La siccità non è l’unica emergenza
Accanto a condizioni climatiche sempre più estreme, lo Zimbabwe deve anche fronteggiare il problema legato al sovrappopolamento degli elefanti. Negli ultimi trent’anni la salvaguardia degli elefanti ha rappresentato un nodo cruciale, a tratti drammatico per quanto riguarda i progetti di salvaguardia della fauna selvatica in Africa. È un esempio lo spopolamento verificatosi in Africa centrale, dove gli esemplari sono diminuiti dell’86 per cento.
BREAKING NEWS: African elephant species now Endangered and Critically Endangered – IUCN Red List
Ciononostante, le stringenti misure adottate dai governi di Paesi come lo Zimbabwe e il Sudafrica hanno permesso non solo di fermare il declino, bensì di ribaltare la curva demografica, consentendo un rapido aumento degli esemplari. Secondo le stime più recenti il numero degli elefanti attualmente presenti in Zimbabwe è di 100mila unità. Nel 2014, anno dell’ultimo censimento, si contavano 84mila esemplari, il doppio rispetto ai 45mila che costituirebbero la capienza massima prevista per la superficie dei parchi del Paese. Gli elefanti sono cresciuti, ma lo spazio a loro disposizione no.
Nel tempo la superficie disponibile è diminuita per dare spazio alle infrastrutture e nuovi insediamenti: “Molti dei nostri parchi stanno diventando sovrappopolati e c’è poca acqua e cibo. Gli animali finiscono per distruggere il loro habitat e invadere gli insediamenti umani, diventando un pericolo per sé stessi e dando luogo a conflitti incessanti”, ha concluso Farawo. Gli elefanti crescono, la terra a loro disposizione no, anzi si impoverisce e diventa infeconda, inadatta alla vita e alla sopravvivenza. E questa deportazione, pur salvandoli da una morte certa, sembra essere l’ennesima mossa provvisoria in un’emergenza che richiede soluzioni di lungo termine, definitive, benaltro approccio da parte di chi ha in mano il potere di decidere.
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