Lo Zimbabwe ha vietato l’esportazione del litio grezzo dalle sue miniere.
La decisione serve per porre un freno all’inflazione, mai così alta.
Lo scopo è cercare di portare le lavorazioni nel paese e vendere ai paesi prodotti più costosi.
Lo Zimbabwe ha vietato l’esportazione del litio grezzo dalle sue miniere per poter trarre profitto dalle proprie risorse e smettere di perdere miliardi di dollari in proventi derivanti dalla lavorazione del minerale, in questo momento a favore di multinazionali estere. Il 20 dicembre, infatti, il ministero delle Miniere e dello sviluppo minerario di Harare ha pubblicato una circolare ai sensi del Base minerals export control act con l’obiettivo di portare avanti la visione del presidente Emmerson Mnangagwa di sviluppare l’economia interna. Il fine, dunque, non è quello di ridurre i guadagni delle multinazionali con cui lo Zimbabwe ha siglato accordi di estrazione, ma di contrastare il contrabbando di minerali, tra cui oro e litio, verso il Sudafrica e gli Emirati Arabi Uniti. Secondo il governo, infatti, il contrabbando di minerali causa una perdita di circa 1,8 miliardi di dollari.
Lo Zimbabwe e la domanda di litio
Con il perdurare della forte domanda internazionale, si prevede che lo Zimbabwe diventi uno dei maggiori esportatori di litio al mondo; il governo spera di soddisfare il venti per cento della domanda totale di litio a livello mondiale quando sfrutterà appieno le sue risorse note di litio. Le esportazioni minerarie rappresentano circa il sessanta per cento dei proventi delle esportazioni dello Zimbabwe, mentre il settore minerario contribuisce per il sedici per cento al prodotto interno lordo (pil), secondo un rapporto sulle miniere del 2021 della London school of economics. Il risultato a cui vuole andare incontro Harare è lo sviluppo di un’industria locale di produzione di batterie, al fine di creare posti di lavoro e far crescere l’economia nazionale.
Il litio è il componente più importante per la produzione di batterie elettroniche ricaricabili – soprattutto di automobili, smartphone e computer – ad alta densità energetica, grazie al suo elevato potenziale elettrochimico. Con la transizione energetica in corso e il tentativo di sviluppo di energia pulita, in particolare alla mobilità elettrica, il litio è diventato uno dei minerali più ricercati sul mercato. I produttori di batterie prevedono che le batterie agli ioni di litio continueranno a dominare il settore, non solo sulle quattro ruote, ma anche per i ciclomotori dato che oggi sono trenta volte più economiche rispetto a quando sono state introdotte sul mercato negli anni Novanta. Tuttavia, la recente domanda di questo minerale ha visto il suo prezzo salire di oltre il 180 per cento nell’ultimo anno, secondo l’indice dei prezzi del litio di Benchmark Minerals. I prezzi spot – ossia il prezzo che in finanza il venditore deve corrispondere immediatamente all’acquisto – del carbonato di litio in Cina, il più grande mercato delle auto elettriche del mondo, hanno raggiunto il prezzo record di 84mila dollari per tonnellata lo scorso novembre.
Lo Zimbabwe sta perdendo miliardi di dollari nel settore minerario
Lo Zimbabwe possiede i più grandi depositi di litio dell’Africa, il sesto detentore di litio a livello mondiale. La miniera di Bikita, situata a 308 chilometri a sud della capitale Harare, è la più grande miniera di litio del Paese, con riserve di 10,8 milioni di tonnellate del minerale. Si prevede che la miniera di Arcadia raggiunga una produzione annua di 2,5 milioni di tonnellate di minerale di litio dopo la messa in funzione della miniera, il che equivarrebbe all’incirca a tre miliardi di dollari di esportazioni.
Come molti altri Stati africani ricchi di minerali, lo Zimbabwe ha permesso per decenni che i suoi minerali grezzi venissero estratti dalle multinazionali estere senza sviluppare industrie locali che potessero lavorarli e creare posti di lavoro. Le aziende occidentali sono state accusate di sfruttare le miniere di litio dell’Africa e di lasciare i Paesi più poveri per poi tornare e vendere loro i minerali lavorati sotto forma di prodotto finito. Alla cifra di 1,7 miliardi di euro che il governo afferma di aver perso a causa delle esportazioni, vanno aggiunte anche le perdite stimate dal traffico illecito. Infatti, solo nel 2015, si è stimato che lo Zimbabwe abbia perso dodici miliardi di dollari a causa del commercio illegale che coinvolge le multinazionali dei Paesi ricchi nel settore minerario. Tali fondi sono sufficienti a cancellare il debito estero di 13,7 miliardi di dollari.
E la Cina?
La decisione di Harare ha avuto degli effetti immediati nei contratti con le aziende e i Paesi stranieri, prima tra tutti, la Cina. Dopo aver battuto diversi competitor stranieri nell’acquisizione dei contratti con lo Zimbabwe, una delle aziende cinesi più importanti di lavorazione del litio, ha annunciato di voler cominciare a lavorare il minerale direttamente nello Stato dell’Africa meridionale. La Dinson iron and steel company (Disco) ha, infatti, annunciato che vuole cominciare la produzione di batterie al litio in Zimbabwe, visto che il paese è dotato di tutto il materiale necessario alla trasformazione del minerale. La produzione prevista è di circa due tonnellate di litio all’anno. La società, che sta costruendo sempre in Zimbabwe l’impianto di lavorazione dell’acciaio più grande d’Africa, ha dichiarato di abbracciare l’idea del governo locale di investire direttamente nell’economia locale. Quindi, dopo la cinese Sinomine, che la scorsa estate ha annunciato di investire 200 milioni di dollari nella miniera di litio di Bikita capace di produrre due milioni di tonnellate di litio l’anno; dopo Suzhou, che lo scorso novembre ha accettato di investire 35 milioni di dollari nella costruzione di un impianto pilota presso la miniera di Zulu, che consentirà alla struttura di produrre fino a 50mila tonnellate di rocce contenenti litio all’anno; anche la Disco conferma la volontà del paese del Sol Levante di mantenere il monopolio delle relazioni minerarie con Harare.
La spada di damocle della crisi economica interna
La scelta governativa non è data soltanto da un sentimento di revanchisme, ma è strettamente legata all’inflazione galoppante e alle prospettive delle elezioni che si terranno nel 2023. L’inflazione in Zimbabwe ha raggiunto il 280 per cento secondo i dati dei primi di gennaio, uno dei tassi più alti a livello globale. Anche il dollaro dello Zimbabwe si è indebolito. Questo ha portato a un crollo del tenore di vita nel Paese, dove 7,9 milioni di persone, pari alla metà della popolazione, sono cadute in estrema povertà tra il 2011 e il 2022. Non sorprende che economisti, politologi e istituzioni multilaterali stiano lanciando l’allarme: la tendenza al declino dei fondamentali economici potrebbe continuare fino al prossimo anno.
#Zimbabwe's inflation is spiraling out of control. Zim, as usual, takes the 1st spot in this week's inflation roundup. On Jan 5, I accurately measured Zim's inflation at 410%/yr, ~1.5x Zimstat's "official" inflation rate of 268.8%/yr. More dishonest measurements from Zimstats. pic.twitter.com/v6OJigAD3S
Durante una recente visita nel Paese, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha previsto un ulteriore calo del pil del 3,5 per cento nel prossimo anno, a causa, tra l’altro, di nuovi shock interni ed esterni – impennata dell’inflazione, condizioni metereologiche avverse, carenza di elettricità, le delicate elezioni presidenziali ed effetti della guerra della Russia in Ucraina – che incidono negativamente sulle condizioni economiche e sociali. Non è, quindi, un caso che proprio ora, il governo del presidente Mnangagwa abbia emanato la norma per bloccare le esportazioni di litio: da un lato è un tentativo per iniziare a tamponare una crisi economica ormai insostenibile, dall’altro è un atto da leggere nell’ottica della campagna elettorale, con la promessa di nuove industrie e di creazione di posti di lavoro.
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