Nel report del VII Index Future Respect tutte le ombre e le luci dei report di sostenibilità. Ma tra i migliori spicca quello realizzato per Pizzoli.
“L’Italia ripudia la guerra” ma spende miliardi in armamenti
Mil€x, il primo rapporto dell’osservatorio sulla spesa militare in Italia, fotografa un paese prigioniero del complesso militare-industriale.
Nella campagna vercellese non cresce solo il riso. Vicino al paesino di Lenta c’è un campo molto particolare: oltre trecento ettari occupati da…carri armati all’abbandono! È questa forse l’immagine migliore per illustrare i risultati della prima edizione del rapporto dell’osservatorio Mil€x sulle spese militari italiane.
Ogni minuto, 45mila euro di soldi pubblici in armamenti
“Tutto quello che si doveva tagliare si è tagliato, ma ora sul capitolo Difesa è venuto il momento di tornare ad investire”. Era il settembre del 2016 quando il ministro della Difesa, Roberta Pinotti rilasciava questa dichiarazione. Detto fatto: per l’anno 2017, l’Italia destinerà circa 23,3 miliardi di euro alle spese militari…o 45 mila euro al minuto. Un’eccezione? No, a giudicare dalla serie storica ricostruita con puntiglio dagli autori del rapporto.
Spese folli al servizio del più letale made in italy
Tutti questi soldi servono a garantire la sicurezza del paese? Non sempre. Torniamo nella campagna vercellese dove nel Parco mezzi corazzati e cingolati di Lenta giacciono migliaia di mezzi, alcuni da rottamare, molti altri ancora perfettamente funzionanti. Se stanno lì a marcire, è perché il nostro paese si comporta come un acquirente compulsivo, specie se i mezzi sono made in Italy: dalla fine della guerra fredda, l’Italia ha comprato quasi duemila mezzi blindati – per una spesa pari a circa 30 miliardi di euro – senza averne realmente bisogno. Nel rapporto gli esempi non mancano. Dal 2007, centoventi carri armati Leopard 1A5 ammodernati nel 1995 per circa 250 milioni di euro marciscono a Lenta dopo che solo sedici di loro sono stati schierati in Kosovo nel 1999. Dei duecento carri armati Ariete, sei sono stati schierati in Iraq nel 2004 e solo una quarantina sopravvivono oggi in servizio. E ancora, 31 dei duecento carri Dardo in dotazione all’esercito hanno solcato un teatro di guerra e solo 17 dei seicentotrenta carri armati Freccia sono stati utilizzati almeno una volta, in Afghanistan, nel 2010. Per non parlare dei seicento blindati Puma costati 305 milioni di euro: tutti messi fuori servizio perché insicuri. Follia? No, business. Spiegato nero su bianco nel documento con cui il ministero della Difesa ha ottenuto recentemente il parere positivo del Parlamento per l’acquisto di nuovi carri armati “Centauro 2”: non servono all’Esercito Italiano, ma a promuovere all’estero il savoir-faire dell’industria bellica nazionale.
Le fregate “umanitarie” e il fiasco F-35
Ogni argomento è buono per giustificare l’acquisto di armamenti. A fine 2013, all’indomani del naufragio di Lampedusa nel quale perirono 368 migranti, largo uso si fece della retorica umanitaria per giustificare l’acquisto di “pattugliatori polivalenti d’altura” e di un’“unità anfibia multiruolo”. Peccato che a programma avviato si siano poi rivelati essere rispettivamente costose fregate lanciamissili e…una vera e propria portaerei! Per la gioia dei vertici della Marina e dell’azienda – l’italianissima Leonardo, ex Fincantieri – che le costruirà. Del resto, l’Italia sa essere generosa anche quando non foraggia l’industria militare nostrana. Prova ne sia l’ormai tristemente noto programma d’acquisto del caccia F-35 della statunitense Lockheed Martin. Costato oltre 3,6 miliardi di euro, l’“aereo a sovranità limitata” – tutte le tecnologie più sofistricatre sono coperte da segretissimo brevetto americano – è da anni duramente criticato in patria, non ultimo dal neo eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Mil€x, uno strumento di trasparenza
Il rapporto Mil€x è stato realizzato da Francesco Vignarca, tra i maggiori militanti italiani per la pace e il disarmo, con il giornalista Enrico Piovesana. Gli autori precisano sin dalla premessa che non è loro intenzione mettere in discussione la necessità di disporre di forze armate operative ed efficienti. Quanto contestano sono le spese sproporzionate rispetto alle esigenze di sicurezza nazionale e l’assenza di trasparenza. La contabilità delle spese militari italiane risulta infatti complessa dal momento che non tutte le voci di spesa fanno capo al ministero della Difesa. Anzi, i programmi di armamento più onerosi attivi in questo momento — con l’eccezione di quello riguardanti i caccia F-35 — sono a carico del ministero dello Sviluppo Economico. Del resto, lo stesso Parlamento dispone della possibilità di bloccare l’acquisto di armamenti da parte dello stato solo dal 2012, con l’approvazione del cosiddetto “lodo Scanu”. Prima, vertici militari e industriali dell’armamento potevano trattare in tutta discrezione, come testimonia il cimitero dei carri nella campagna vercellese.
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