Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
In Madagascar gli indigeni diventano i guardiani della foresta
Vivai dove crescono migliaia di nuovi alberi, degli orti dove coltivare il proprio cibo, una scuola di giardinaggio e agroecologia. È questo ciò che accade nel villaggio di Sahavondroninaa, a circa 400 km a sud della capitale, un altopiano posto nella regione dell’Haute Matsiatra e nella provincia di Fianarantsoa, in Madagascar. È qui infatti che
Vivai dove crescono migliaia di nuovi alberi, degli orti dove coltivare il proprio cibo, una scuola di giardinaggio e agroecologia. È questo ciò che accade nel villaggio di Sahavondroninaa, a circa 400 km a sud della capitale, un altopiano posto nella regione dell’Haute Matsiatra e nella provincia di Fianarantsoa, in Madagascar.
È qui infatti che opera fin dal 2009 l’associazione Voiala, con l’obiettivo di proteggere ampie aree di foresta e fornire gli strumenti alla popolazione locale per gestire il territorio in maniera sostenibile. “Nel 2016 è iniziato un piano quadriennale per riforestare 25 ettari di foresta”, racconta Hesitiana Andriamalala, 32 anni, agronomo malgascio che segue i progetti e collabora con l’associazione. “Il terreno viene dato in concessione dallo Stato e noi diamo la possibilità alla popolazione locale di avere il terreno in gestione”.
In Madagascar spazio alla comunità locale
La chiave è proprio questa: fornire gli strumenti e il supporto economico per istruire la popolazione locale nella protezione e gestione consapevole del territorio in cui vivono. Così che essi stessi possano diventare i guardiani della foresta. Oggi il Madagascar è forse una dei paesi africani che più sta subendo il fenomeno dell’accaparramento delle terre (land grabbing) da parte di corporazioni internazionali che utilizzano le terre per piantagioni intensive di cultivar non autoctone, come la jatropa, la palma da olio e molte altre.
Voiala invece gestisce almeno 5 vivai dove stanno crescendo 9mila nuove piante, tra cui 7.400 esemplari di eucalipto e 1.600 di Dalbergia. Grazie a corsi di agroecologia e arboricoltura le comunità dei villaggi coinvolti imparano a gestire in maniera sostenibile la foresta, ad averne un ritorno economico e allo stesso tempo proteggerla da mani ingorde.
“In questo modo responsabilizziamo le comunità indigene e i piccoli produttori e li coinvolgiamo direttamente nel progetto”, spiega Andriamalala. Tra le specie coltivate c’è la Dalbergia baronii, dal legno duro e pesante, resistente a termiti e funghi e impiegata per la fabbricazione di mobili e tornitura. O l’imponente Canarium madagascariensis albero che cresce fino a 40-50 metri di altezza, capace di proteggere e arricchire il suolo degradato. O ancora la Dodonaea madagascariensis, sulle quali foglie crescono i bachi da seta, fibra importante nella cultura malgascia.
L’Italia partner del progetto
Al progetto collaborano due realtà italiane che forniscono supporto tecnico ed economico da anni: l’associazione Averiko e la cartiera Favini, certificata Fsc. Ogni tre mesi l’associazione malgascia fornisce dei rapporti dettagliati sui progressi del progetto, con tutti i progressi delle semine e delle piantumazioni.
“Un aspetto del progetto Voiala che apprezziamo particolarmente è il coinvolgimento attivo degli abitanti del territorio, sempre in prima linea nella difesa e nel miglioramento del proprio ambiente”, dichiara Eugenio Eger, AD di Favini. “Supportare il progetto Voiala rappresenta per Favini un tassello della nostra filosofia, che vede il rispetto ambientale tra i principi base per una produzione di carta sostenibile. Abbiamo adottato per primi in Italia gli standard FSC, abbassato notevolmente il consumo d’acqua rispetto gli standard del settore e creato le rivoluzionarie Alga Carta e Crush”. Ad oggi si contano almeno 13.704 nuove piante, introdotte in 7 differenti zone del paese. Il Madagascar ha perso in circa 20 anni più dell’8 per cento della copertura forestale, molta di questa era foresta primaria, quella impenetrabile, che accoglie la maggior parte delle specie. Albero dopo albero, pianta dopo pianta, la resistenza delle comunità locali è forse l’unica arma per proteggere questo scrigno di biodiversità. Resistenza che oggi sta mettendo radici.
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