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Negli Stati Uniti il motivo principale per il quale si rinuncia all’acquisto di una vettura elettrica non è legato all’autonomia inferiore a un modello alimentato a benzina o a gasolio e nemmeno alla non capillare presenza delle colonnine di ricarica. Negli States, gli automobilisti inclini a considerare un’auto a batteria come un veicolo appetibile sono
Negli Stati Uniti il motivo principale per il quale si rinuncia all’acquisto di una vettura elettrica non è legato all’autonomia inferiore a un modello alimentato a benzina o a gasolio e nemmeno alla non capillare presenza delle colonnine di ricarica. Negli States, gli automobilisti inclini a considerare un’auto a batteria come un veicolo appetibile sono dissuasi soprattutto dai lunghi tempi di ricarica. Un problema che, nel medio periodo, potranno attenuare le stazioni ad alta capacità, in attesa che alcuni ritrovati attualmente allo studio rendano pressoché immediato il “pieno” d’energia.
Secondo uno studio condotto da Bloomberg in California, Florida, Minnesota, Delaware e Connecticut – alcuni degli Stati più ricchi d’America – la ricarica delle batterie in alcune ore è considerata una palla al piede dalla maggioranza dei potenziali utenti di un’auto elettrica. A tal proposito, l’amministrazione Obama ha stanziato 4,5 miliardi di dollari per la creazione entro il 2020 di un network di ricarica rapida, incluso uno studio di fattibilità per la realizzazione di colonnine da 350 kW. Un valore stellare, specie considerando che i Supercharger Tesla, attualmente tra i sistemi di rigenerazione delle batterie più veloci e potenti al mondo, operano a un massimo di 120 kW, equivalenti a un’autonomia di circa 270 km in 30 minuti. 350 kW che sono diventati l’orizzonte anche in Europa grazie alla joint venture tra alcuni dei principali costruttori. Un accordo che dovrebbe portare, dal 2017, ad avere 400 stazioni ultraveloci lungo le principali autostrade del Vecchio Continente. Tutto ciò, però, è sufficiente?
La ricarica delle batterie in meno di un minuto potrebbe non essere più una chimera. Due ricerche universitarie, sviluppate rispettivamente in Inghilterra e in Florida, sarebbero in grado di rendere il “pieno” d’energia competitivo con il classico rifornimento di carburante fossile, anche sotto il profilo della rapidità. Nel primo caso, la nuova tecnologia si basa sull’adozione dei supercondensatori in sostituzione delle comuni batterie. Vengono infatti adottati dei dispositivi di conversione e stoccaggio dell’energia caratterizzati da elevate potenze specifiche, di gran lunga superiori rispetto agli accumulatori agli ioni di litio, ma con una scarsa densità energetica, ossia con un’inferiore capacità di accumulo per chilogrammo. Un “difetto” che porterebbe a dimezzare l’autonomia delle auto elettriche. In compenso, secondo quanto elaborato dalla società Augmented Optics in collaborazione con gli atenei del Surrey e di Bristol, la velocità di ricarica sarebbe da mille a 10mila volte superiore a quella attuale. Un lampo!
Il primo prototipo di un sistema propulsivo a zero emissioni alimentato mediante supercondensatori vedrà la luce nel 2017 e potrebbe giungere alla produzione in serie in tempi relativamente brevi, dato che questi componenti non impiegano materiali pregiati, quindi hanno un costo ragionevole, non richiedono manutenzione e possono contare su di un ciclo di vita utile superiore alle comuni batterie. Anche l’università della Florida Centrale, del resto, crede nei supercondensatori. In questo caso, però, cuore della nuova tecnologia sarebbero degli innovativi materiali bidimensionali d’avvolgimento, composti da milioni di microscopici filamenti che incrementerebbero la densità d’energia, attenuando il decadimento dell’autonomia delle vetture. Un’innovazione che, oltretutto, porterebbe da 1.500 a oltre 30mila i cicli di ricarica utili. La ricerca americana è però ancora distante dalla produzione in serie, almeno per quanto riguarda il mondo automotive, mentre entro cinque anni potrebbe divenire lo standard per smartphone e device portatili.
Forse i supercondensatori non sostituiranno le batterie chimiche tradizionali, ma potrebbero trasformarsi in un’opportunità per i costruttori d’auto di dilatare la propria offerta e per gli automobilisti di soddisfare le diverse esigenze di mobilità a zero emissioni. In ogni caso, l’ambiente ringrazierebbe.
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